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L'evoluzione all'opera
(troppo vecchio per rispondere)
e
2013-04-12 16:25:46 UTC
Permalink
Il mosaico evolutivo di Australopithecus sediba

Il completamento delle analisi sugli scheletri di A. sediba scoperti
cinque anni fa nel sito sudafricano di Malapa mostra l'evoluzione
all'opera: in questo ominide di due milioni di anni fa si osserva
infatti una singolarissima commistione di tratti ancora scimmieschi e
tratti che lo avvicinano fortemente ai più diretti antenati della
nostra specie

Un singolare e prezioso mosaico di tratti umani e scimmieschi: è
questo il quadro di Australopithecus sediba che emerge dal
completamento degli studi sui fossili di questo nostro antico
antenato, vissuto nel periodo in cui è avvenuta la separazione del
ramo evolutivo dell'uomo e delle grandi scimmie da quello degli altri
primati. Il dettagliato resoconto degli studi è oggetto di sei
articoli pubblicati su “Science”, corredati da un'introduzione a firma
di Lee Berger, dell'Università di Witwatersrand, in Sud Africa,
coautore di tutti gli articoli e coordinatore dell'intero progetto di
ricerca su A. Sediba.

I resti fossili dell'ominide, risalenti a due milioni di anni fa circa
e rinvenuti presso il sito di Malapa, vicino a Johannesburg,
comprendono alcuni scheletri parziali dai quali è stato possibile
ricostruire l'anatomia completa di due individui, un maschio (noto
come MH1) e una femmina (MH2).

La singolarità di A. sediba emerge già dall'esame dei denti, uno dei
tratti anatomici di maggiore importanza negli studi paleontologici e
antropologici, che – come illustrano Joel D. Irish e colleghi –
mostrano una differenza morfologica da quelli di A. afarensis (la
specie a cui appartiene “Lucy”) e un maggiore vicinanza a quelli di A.
africanus e di Homo.

D'altra parte, l'analisi della mandibola – condotta da Darryl J. de
Ruiter e colleghi – pur evidenziando una certa affinità con la
mandibola di altri australopitechi, esclude un avvicinamento troppo
stretto anche ad A. Africanus: per forma e dimensione ricorda molto di
più quella dei più antichi reperti di Homo disponibili.

Al contrario, gli arti superiori degli ominidi di Malapa hanno una
morfologia in gran parte primitiva, apparendo ancora ben adattati
all'arrampicata sugli alberi. E' possibile che queste caratteristiche
fossero solo il retaggio di un antenato realmente arboricolo, “ma è
curioso - osserva Steven E. Churchill, primo firmatario dell'articolo
in cui è descritta questa struttura anatomica - che siano rimaste
immutate per diversi milioni di anni, per poi scomparire
improvvisamente con la comparsa del genere Homo". Anche in questo caso
c'è però un elemento di novità, che riguarda la mano, in cui si notano
diversi elementi che potrebbero segnalare una maggiore capacità di
manipolazione rispetto agli australopitechi precedenti.

Il mosaico emerge invece nettamente dall'esame della struttura
toracica, condotto da Peter Schmid e colleghi. La parte superiore del
torace ha una forma conica caratteristica degli australopitechi,
simile a quella delle grandi scimmie e poco consona all'oscillazione
delle braccia che accompagna l'andatura bipede dell'uomo, la cui
gabbia toracica è infatti sostanzialmente cilindrica. Nella parte
inferiore si nota invece un certo restringimento mediolaterale tipico
dell'uomo.

Grazie al fatto che MH2 è il primo scheletro di ominide primitivo che
conserva intatti quasi tutti gli elementi della colonna vertebrale,
Scott Williams e colleghi hanno potuto trarre molte informazioni sulla
la mobilità della parte inferiore della schiena. A. Sediba, che aveva
lo stesso numero di vertebre lombari dell'uomo moderno, possedeva però
una schiena funzionalmente più lunga e più flessibile nella sua parte
inferiore. Inoltre, la forte curvatura lombare è simile a quella
osservabile nello scheletro di Homo erectus di Nariokotome.

Infine, dall'esame dell'anatomia degli arti inferiori di Au. sediba
Jeremy M. DeSilva e colleghi hanno potuto avanzare una specifica
ipotesi biomeccanica sul modo di camminare di questa specie. A.
sediba, scrivono gli autori, camminava con una gamba completamente
estesa e con un piede invertito durante la fase di oscillazione della
camminata bipede e il contatto iniziale della parte laterale del piede
provocava una marcata iperpronazione del piede, ossia una sua
eccessiva rotazione, un po' come quella che si osserva nel podisti,
che poi si ripercuoteva sulla postura della gamba. Questi meccanismi
sono diversi da quelle spesso ricostruiti per altri australopitechi e
suggeriscono che ci può essere stato diverse forme di bipedismo
durante il Plio-Pleistocene.

In conclusione, ha osservato De Ruiter "in qualunque punto di questi
scheletri noi guardiamo, dalle mandibole ai piedi, possiamo vedere la
prova del passaggio dall'australopiteco a Homo; ovunque vediamo la
prova dell'evoluzione."

(meno che in testa di Clapos... ;-))
JJ&BB
2013-04-14 14:40:03 UTC
Permalink
"e" ha scritto nel messaggio news:7f09ed60-9fb1-4fd9-b6d2-***@c7g2000vbe.googlegroups.com...

CUT)
In conclusione, ha osservato De Ruiter "in qualunque punto di questi
scheletri noi guardiamo, dalle mandibole ai piedi, possiamo vedere la
prova del passaggio dall'australopiteco a Homo; ovunque vediamo la
prova dell'evoluzione."

(meno che in testa di Clapos... ;-))
FINE DELL'EVOLUZIONE DEI LEGHISTI......................
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E I SUOI EROI POPOLARI......
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